Il dibattito sul confine tra l’arte e il design ha infiammato per decenni teorici ed esperti ed è tuttora rilevante. Ma quali sono i limiti di entrambi? È possibile tracciare contorni netti delle due discipline?
La riflessione si delinea a partire dalle esperienze estetiche nell’ambito delle avanguardie storiche, grazie all’opera di precursori come Marcel Duchamp, e reca i segni determinati dai fatti storici, economici, politici e dalle contraddizioni sociali di ogni paese.
Il reciproco scambio dei temi dell’arte e del design denota un dialogo costante, un’integrazione volta a determinare nuove esperienze. Aperture spesso provocatorie e dissacranti nei confronti di valori e miti, come quelle operate negli anni ‘60 a Torino, diventarono interpreti di un momento storico e sociale in cui ogni oggetto era portatore di un significato nascosto per affermare nuovi principi, al di là della funzione, registrando fenomeni o traslandoli metaforicamente. Esperienze visive, tratte dalle avanguardie, diventavano divani, poltrone, tavolini, simboli di un potere effimero, innescando una volontà di ricerca di espedienti tecnologici per dare forma alla fantasia. Episodi che si nutrono di senso se esaminati nell’ambito di un contesto che ne traduce i contenuti, all’interno del quale l’esame e la decodifica diventano possibili.
La categorica affermazione di Adolf Loos, secondo il quale “qualsiasi cosa serva ad uno scopo va esclusa dalla sfera dell’arte” o le nette distinzioni tra l’artista e il designer di Munari, artista e designer egli stesso, diventano materia di discussione nel momento in cui si attuano sincretismi derivati da una consapevolezza estetica che li porta a confrontarsi sulle questioni di divergenza e a superarle. Il designer attinge così ai temi dell’arte e della fantasia, intesa da Munari come “facoltà capace di immagini che possono essere irrealizzabili” che, in verità, per il designer diventano realizzabili grazie al supporto tecnico dell’industria. Viceversa, l’artista utilizza i prodotti dell’industria rielaborandone o scomponendone i contenuti, producendo capolavori. Il disagio della “grande depressione” americana degli anni ’30 portò Rauschenberg a nuove considerazioni, scaturite dal clima di insicurezza e di sfiducia, il quale, ispirato dal ready-made di Duchamp e nell’affannosa ricerca di oggetti abbandonati, elevava a forme d’arte il prodotto industriale, reiterandone e trasformandone la funzione da utile ad estetica. Negli anni ’60, Donald Judd ricorreva ai prodotti e agli operai dell’industria per la realizzazione delle proprie opere, evidenziandone le caratteristiche tecniche e dando vita a prodotti seriali. Nacquero nuovi linguaggi legati alla società del consumo in cui l’oggetto veniva trasformato, acquistando il valore di un’opera d’arte che assumeva una nuova identità, provocando il disorientamento del pubblico.
L’esperienza di Alchimia e di Memphis che esploravano insoliti materiali, come i tubi di neon, il laminato plastico colorato serigrafato, l’alluminio, il vetro stampato, un fare condiviso con artisti come Dan Flavin e Joseph Kosuth, entrava in contrapposizione con quelli che erano i canoni estetici consueti, cui opponevano una visione utopica.
Dal Bauhaus, che mirava a creare “l’artista completo capace di dominare tutti quanti i settori della produzione” (G. Dorfles), al De Stijl, fautore dell’armonia e dell’ordine universale (si veda la Poltrona rossa e blu di Gerrit Thomas Rietveld ispirata al linguaggio neoplastico di Mondrian), gli esempi sono tanti e arrivano e si moltiplicano ai nostri giorni.
Designer e artisti sono senza dubbio testimoni del loro tempo, generano movimenti e rivoluzionano le dialettiche, esasperano forme per trasmettere messaggi e valori, grazie anche al sostegno delle aziende.
Apparati decorativi di siti monumentali diventano spunti per i designer che ne creano tappeti, intarsi, piastrelle; forme surrealiste diventano oggetti di arredo, i quali, a loro volta, entrano a far parte di installazioni artistiche; circuiti e microchip, comunemente usati nella domotica, diventano arte, testimoni di un’evoluzione di nuovi codici estetici che fanno capo alla ragione, un continuo esperire di forme e contenuti che superano ogni confine. L’arte entra nell’industria innescando processi di artificazione.
(Tratto dalla prefazione di D. Brignone al volume di A. Pantina, Quel labile confine tra arte e design, Palermo 2019)